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Nell’ottobre del 2016 in località Annone di Brianza un viadotto sovrastante la superstrada Milano – Lecco, crollò sotto al peso di un tir che lo stava attraversando. Il crollo coinvolse le auto in transito sulla sottostante superstrada provocando una vittima e numerosi feriti. Qualche giorno più tardi dai rilievi e dalle analisi effettuate sul luogo dell’incidente risultò che il crollo era stato probabilmente causato da cedimento strutturale in quanto alcune armature in acciaio al carbonio del calcestruzzo erano corrose.
Mentre nei terreni e in acqua di mare e in atmosfera l’acciaio è soggetto a diverse forme di corrosione, non ci si aspetterebbe, normalmente, di incontrare fenomeni corrosivi all’interno del calcestruzzo a causa della sua elevata alcalinità. L’acciaio al carbonio, infatti, è soggetto a corrosione in ambienti neutri, come acque o terreni, per la presenza di ossigeno disciolto. Lo stesso acciaio, quando usato per le armature nel calcestruzzo, mostra una elevata resistenza a corrosione grazie all’elevata alcalinità, pH > 12, della soluzione presente nei pori del conglomerato, conseguente alle reazioni di idratazione dei costituenti del cemento. In queste condizioni, in assenza di inquinanti, principalmente in assenza di sali, l’acciaio si riveste di un film di ossido protettivo, detto film di passività, di spessore pochi nanometri, che conferisce elevata resistenza a corrosione.
La corrosione delle armature è la principale causa di degrado delle opere in calcestruzzo armato. Sebbene, come detto, le armature sono inizialmente passive, nel tempo la passività può venir meno principalmente per due motivi:
- la carbonatazione del calcestruzzo a causa della penetrazione della CO2, con conseguente abbassamento del pH a valori prossimi alla neutralità; in questo caso la corrosione si manifesta in maniera generalizzata
- l’ingresso di cloruri che raggiungono alle armature un tenore sufficiente ad innescare fenomeni corrosivi. In tal caso la corrosione è di tipo localizzato.
I cloruri possono provenire dal mare come anche dai sali antigelo utilizzati durante la stagione invernale. Nei periodi invernali è normale vedere in azione gli spargisale sulle nostre strade, ma il sale utilizzato per evitare la formazione di ghiaccio sulla superficie stradale gioca anche un ruolo importante nei fenomeni di corrosione nel calcestruzzo armato. Per le armature in acciaio al carbonio, il “tenore critico” necessario all’innesco della corrosione è compreso tra 0.4-1% rispetto al peso di cemento per opere in calcestruzzo esposte all’atmosfera.
Per preservare l’integrità delle armature nel calcestruzzo armato, scienza e tecnologia ci mettono a disposizione diverse possibili soluzioni. Prima di tutto è opportuno confezionare un calcestruzzo di alta qualità: corretta miscela soprattutto in termini di quantitativo di cemento e acqua, corretta esecuzione e stagionatura, adozione di un adeguato copriferro. In ambienti particolarmente aggressivi si può ricorrere a protezioni aggiuntive: tra queste vogliamo ricordare le armature resistenti a corrosione, soprattutto gli acciai inossidabili, l’utilizzo di inibitori di corrosione, l’applicazione di rivestimenti sulla superficie esterna del calcestruzzo, l’utilizzo di particolari additivi alle miscele per aumentare l’impermeabilità all’acqua, e l’impiego della protezione catodica.
La protezione catodica nel calcestruzzo ha una storia relativamente recente. La prima applicazione risale al 1973: R.F. Stratfull applicò il sistema alle solette di ponti autostradali inquinati da cloruri nel Nord America. Il sistema di funzionamento della protezione catodica nel calcestruzzo non si differenzia molto dagli altri ambienti: le armature devono essere polarizzate catodicamente mediante l’applicazione di una corrente catodica continua fino a raggiungere il potenziale di protezione. Diversamente dalle opere in mare o nel terreno, che sono protette in condizioni di immunità o quasi immunità, le armature in calcestruzzo armato sono protette in condizioni di passività perfetta, a potenziali di protezione non così negativi (si può operare a -0.5 V / -0.6 V CSE).
Negli anni ’80 Pietro Pedeferri mise a punto una nuova tecnica, da lui chiamata “prevenzione catodica”, da applicare a opere nuove non ancora soggette a corrosione. La prima applicazione fu eseguita in Italia nel 1989 sul viadotto San Nicola (autostrada A24). Egli definì questa tecnica ”un metodo di manutenzione preventiva di strutture nuove che si pensano posso essere inquinate da cloruri”. In questo caso, l’abbassamento del potenziale realizzato quando l armature sono ancora passive, consente di aumentare notevolmente il tenore critico di cloruri necessario all’innesco della corrosione. I criteri e i principi di tale tecnica sono riconosciuti a livello internazionale e riportati nelle normative di settore.
Differenziandosi per ambiente ed applicazione dai classici sistemi di protezione catodica nei terreni, gli impianti dedicati alla protezione delle armature nel calcestruzzo hanno caratteristiche peculiari ed uniche legate al particolare ambiente in cui devono operare. La resistività elettrica del calcestruzzo è estremamente elevata e varia a seconda delle condizioni di umidità del calcestruzzo stesso.
Anche in questo caso i sistemi disponibili sono due: ad anodi galvanici e a corrente impressa. Vista l’elevata resistività del calcestruzzo, il 90-95% delle applicazioni sfrutta impianti a corrente impressa. I sistemi ad anodi galvanici, avendo un potere penetrante limitato, trovano scarso impiego. Al fine di garantire una omogenea distribuzione della corrente di protezione, il sistema anodico, costituito da una rete o da dei nastri in titanio attivato, è distribuito su tutta la superficie da proteggere, e annegato nel copriferro a pochi centimetri dalle armature.
La continuità elettrica dell’armatura da proteggere deve assolutamente essere garantita con l’utilizzo di maglie di continuità o di armature elettrosaldate. Le norme indicano come prima operazione la verifica della continuità elettrica mediante misure di potenziale di libera corrosione. In assenza di continuità, le armature non collegate ovviamente non risentono degli effetti benefici della protezione catodica e continuano a corrodersi.
I sistemi anodici sono usualmente in titanio attivato, ossia in titanio rivestito con una miscela di ossidi di metalli nobili a base di iridio e rutenio, che ne garantiscono un consumo trascurabile. A causa della perdita di tensione lungo il sistema anodico, la distribuzione di corrente nella rete anodica è garantita dalla presenza di barre di continuità elettrosaldate.
Ogni contatto elettrico diretto tra la maglia dell’armatura e la rete anodica deve essere evitato con l’opportuno utilizzo di distanziali isolanti.
Le correnti in gioco sono molto basse come densità, ma, a seconda delle dimensioni della struttura la corrente totale di protezione può raggiungere valori decisamente elevati.
I criteri di protezione e le indicazioni di progettazione sono ben descritti nella normativa di riferimento europea ISO 12696:2012 “Cathodic protection of steel in concrete”.
La norma indica una serie di indagini preliminari che devono essere eseguite al fine di determinare lo stato di corrosione delle armature annegate nel calcestruzzo e definire le condizioni di protezione catodica: oltre alla verifica della continuità elettrica di cui si è già parlato, è opportuno misurare il livello di carbonatazione del calcestruzzo, il tenore di cloruri e la resistività, oltre a verificare lo stato di fessurazione del manufatto. In base a questi analisi si definisce la densità di corrente di protezione, che è compresa tra 10 e 20 mA/m2.
La verifica dell’efficacia del sistema di protezione catodica è fatta mediante misure di potenziale. In accordo con la ISO, le armature sono protette se il potenziale off (misurato tra 0.1 e 1 secondo dallo spegnimento) è inferiore a -0,72 V rispetto ad un elettrodo Ag/AgCl, oppure se si misura in 24 h una depolarizzazione del potenziale di almeno 100 mV rispetto al potenziale off. Anche in questo caso devono essere evitare le condizioni di sovraprotezione, per cui il potenziale non deve essere più negativo di -1.1 V Ag/AgCl per armature lente, e addirittura non più negativo di -0.9 V Ag/AgCl per armature tensionate (in opere precompresse).
Nel caso della prevenzione catodica, come anticipato i criteri sono completamenti diversi. Innanzitutto la densità di corrente è dell’ordine di pochi mA/m2, massimo 5; in secondo luogo, la diminuzione del potenziale è dell’ordine di poche centinaia di mV, per cui la struttura è protetta a valori prossimi a –0.2 V / – 0,3 V Ag/AgCl. In questo caso si adotta solo il criterio di verifica della depolarizzazione dei 100 mV.
Anche per quanto riguarda i sistemi di monitoraggio è necessario adottare soluzioni specifiche, infatti gli elettrodi di riferimento un Cu/CuSO4 che utilizziamo di norma per la misura dei potenziali elettrochimici nei terreni non sono adatti alle condizioni operative del calcestruzzo armato. Per istallazioni permanenti immerse nel calcestruzzo si sono rivelati adeguati sistemi di riferimento del tipo Ag/AgCl/KCl e Mn/MnO2/0,5 M NaOH.
I comuni elettrodi CSE possono essere utilizzati esternamente, per misure istantanee, posandoli sulla superficie del calcestruzzo, per effettuate la cosiddetta mappatura del potenziale. Per la verifica della protezione catodica si è soliti installare in prossimità delle armature, a pochi cm, degli elettrodi permanentemente immersi nel calcestruzzo, realizzati in argento / cloruro di argento e biossido di manganese. Questi elettrodi consentono di misurare il potenziale di protezione o di verificare il criterio di depolarizzazione.
In conclusione la protezione catodica risulta una soluzione efficacemente applicabile alle strutture in calcestruzzo armato esposte a rischio di corrosione che permette un monitoraggio costante della condizione elettrochimica della struttura protetta e una modulazione puntuale dei livelli di corrente di protezione.
Ogni anno APCE organizza presso il politecnico di Milano il corso specialistico “Cathodic Protection in Concrete” ormai arrivato alla sua quarta edizione.